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Appello dal cuore della malattia: salvare l’Oncologia all’ospedale di Lucera


Ingresso principale al presidio ospedaliero Francesco Lastaria


Questo testo è stato ripreso dalle pagine regionali del prestigioso quotidiano nazionale Corriere della Sera. Lo riproponiamo senza aggiungere nulla: si commenta da sé.
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"Si ferma, una piccola pausa mentre ti guarda negli occhi e poi riprende con tono sicuro, ma ormai non sento più le sue parole, guardo solo il movimento delle sue labbra e tutto intorno un silenzio ovattato, avverto solo il battito del mio cuore che ha paura. Mi alzo, saluto e rispondo:” Si dottore, grazie, d’accordo, ci vediamo a fine mese con gli esami completi per programmare l’intervento. Dottore ma cosa succederà”? “Signora tranquilla, togliamo quel nodulo e poi con una chemioterapia proviamo a debellare le cellule residue post intervento.” Esco dal suo studio e cammino con i miei cari che provano a ipotizzare scenari rosei, scenari in cui tutto scivola via come se nulla fosse, scenari in cui del terrore che mi assale rimane solo un brutto ricordo. Era l’agosto del 2008, la sera in cui capii che la mia vita sarebbe cambiata. Mi era stato diagnosticato un carcinoma ascellare, seguì l’intervento e tre mesi di chemioterapia, in un via via di chilometri di autostrada tra Foggia e Milano e un dispendio di denaro che piega l’economia di qualsiasi modesta famiglia. A dicembre del 2008 l’ultimo ciclo di chemio, una “brutta bestia” come la chiamo perché ti colpisce allo stomaco con la violenza di un pugile, che ti lascia inerme in un letto privo di forze, che ti umilia facendoti perdere la lunga chioma di capelli segno di femminilità. Che ti fa piangere al buio, sola, per non accentuare il dolore dei cari che condividono con te il dramma. Un Natale con figli, marito e parenti stretti, ma carico di una felicità che sembrava frutto di una vittoria. Sembrava infatti, perché a gennaio arriva la notizia che nessuno immaginava, nessuno, neanche i medici. Un carcinoma al colon, con lesioni al fegato! Sono casi rarissimi, casi in cui due tumori invadono l’organismo e nascono e viaggiano indipendenti. Si doveva ricominciare da zero.
Esame del sangue, tac, risonanza magnetica, biopsie, visite mediche, bombardamenti con farmaci di ogni genere. Rivivo  tutto ciò che era appena passato ed è peggio di prima. Provo paura e rabbia! Perché? Perché proprio questo? Perché devo pagare questo? Che male ho fatto per vivere un incubo così angosciante? Mi sento abbandonata e sola, impaurita, ancor più perché l’ospedale di Milano mi dice che la tipologia della chemio è standard e la posso fare anche nella struttura ospedaliera di dove risiedo. Ma non conosco nessuno e a chi affido le carte da gioco della mia vita? Mi viene fissato un appuntamento presso l’ospedale “Lastaria” di Lucera, dove conosco per la prima volta il carissimo dottor Laricchiuta, un medico che ha dedicato la sua vita a curare pazienti con patologie tumorali, un medico a cui la sorte la riservato uno scherzo beffardo. Grazie dottor Laricchiuta, grazie per quello che hai dato a tanti che come me hanno combattuto ogni giorno. Grazie per avermi dato la possibilità di conoscere il tuo erede, il dottor Lombardi.
Si stabilisce un legame inconscio con il medico, un legame che apparentemente sembra distaccato e asettico, ma che nella sostanza è più forte di quanto si possa immaginare. Affidi te stessa ad uno sconosciuto a cui dai del “lei”, ma poi dopo poche settimane ci scherzi e ci ridi perché è diventato parte integrante della tua vita. Inizia il percorso a Lucera nel marzo del 2009, ma dopo un anno tutto sembrava andarmi contro. Stavo male, male perché il mio fisico rigettava ormai qualsiasi dose di chemio e più respingeva cure e più gli indici tumorali salivano facendomi regredire giorno dopo giorno. Ormai sembrava chiaro, la chemio non andava bene e bisognava decidere cos’altro fare. Ma lasciar correre giorni significava dare alla malattia il tempo di organizzarsi. Credo furono il coraggio, la determinazione, l’orgoglio di un giuramento, la promessa di Devozione che spinsero il dottor Lombardi a portarmi nella struttura ospedaliera “Umberto I” nel Comune di San Marco (ormai chiusa) e a riprendere la chemio, centellinando minuziosamente le dosi fino a trovare la quantità necessaria affinché il mio fisico la tollerasse, riprendendo così a contrastare la patologia. La “brutta bestia” mi serviva per combattere la malattia, e il dottor Lombardi con maestoso sapere mi parlò a cuore ancor prima che le parole giungessero al cervello.
Oggi sono qui a scrivere, e questo grazie alla determinazione di un medico che ha saputo guardare avanti, che con coraggio affronta il male delle persone che come me vivono il dramma della vita, che ti accarezza  il viso e sorride per non farti sentire sola in questa battaglia, che ti risponde “ Raffaella non è grazie a me se le cose vanno bene ma al Signore”, che non ti mente, perché la tua vita la rispetta prima della sua. Perché sai che c’è, ed è lì fino a quando la macchina infernale della burocrazia lo vorrà tenere…… Già perché oggi sono di fronte ad una realtà che mi rifiuto di accettare. Perché non posso pensare di perdere il mio medico e quello delle persone che condividono con me “ i lettini” della speranza. Non si tratta di mancanza di fiducia verso altri medici, ma semplicemente la paura di perdere quella speranza riposta nella capacità e nella forza che il dottor Lombardi è riuscito ad infondermi stendendo un cordone ombelicale. Alla battaglia intrapresa dal dottor Lombardi poniamo la nostra mano di solidarietà, perché è difficile credere che si voglia chiudere, come per San Marco, anche la struttura di Lucera, così come è difficile credere  che ci si voglia privare di un talento così prezioso. Mi rivolgo alle figure Politiche, Governative e Ospedaliere di Lucera, facendo appello alla loro coscienza affinché prevalga sul bilancio economico la decisione di tenerci stretto nella nostra terra foggiana un uomo che ancor prima di essere medico è un padre, un fratello. Grazie alle persone del reparto di senologia dell’ospedale di Lucera, grazie ai medici tutti, grazie alle infermiere che ti sorridono, ti abbracciano, ti coccolano. E grazie a Te dottor Lombardi."

Raffaela De Rosario

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